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La gestione d’impresa familiare tra i vecchi capitani e i loro successori

08-11-2021

Il concetto anni ‘90 che “piccolo è bello” e che tanto ha caratterizzato anche il mercato delle imprese italiane, a fronte della crescente crisi, oggi non è più così vero. Gli imprenditori che hanno costruito il tessuto della piccola e media impresa italiana con valori quali: la soddisfazione dei propri fornitori, dei dipendenti, della propria famiglia, e che hanno superato momenti complicati e sono sopravvissute pur nelle difficoltà, si trovano a confrontarsi con uno scenario molto differente rispetto al passato. 

Oggi prevale la necessità di competere in situazioni molto più complicate che necessitano di una crescita dimensionale del tessuto imprenditoriale.  

In Italia, come confermano recenti statistiche del Censis, in confronto agli altri Paesi europei, possediamo imprese familiari dimensionalmente più piccole. E meno competitive. In un contesto dunque molto complicato c’è bisogno di una crescita dimensionale del tessuto

Un esempio arriva dai gruppi della grande distribuzione che operano in Italia: la maggior parte di essi è straniera, a conferma che esiste una certa stanchezza dell'imprenditoria italiana evidenziata da un forte scollamento tra i vecchi “capitani” che sono ancora alla guida dell'impresa e non hanno intenzione di cedere il passo neppure con l’avanzare importante dell’età e dall'altra parte c’è una generazione di cinquanta-sessantenni che probabilmente non è stata in grado di svilupparsi a dovere ed è già stanca tanto da pensare di vendere l’impresa. Approfondiamo dunque questo dualismo alla ricerca di una valida soluzione. 

Le criticità nel dualismo vecchio-giovane imprenditore 

Il vecchio imprenditore, che non si può immaginare, per quanto in ottime condizioni, lucido come chi ha trent’anni in meno di lui, lascia un grande punto interrogativo passando il testimone dell’azienda. Il cinquantenne, invece, non riuscendo a gestire la pressione del passaggio può decidere di vendere l’impresa. E qui, ciò che può sembrare un grosso vantaggio per lui e per la propria famiglia, rischia di essere in realtà un vero e proprio boomerang: l'anno successivo alla vendita, normalmente l’ex imprenditore resta in azienda per assicurare un buon passaggio di testimone. È l’anno che coincide con un momento nel quale la disponibilità economica è alta in funzione della vendita e può sembrare un momento perfetto, forse il migliore, ricco e felice. Ma in realtà si tratta della peggiore esperienza che possa capitare poiché fino a 50 anni,  l'imprenditore che ha venduto era il leader indiscusso e dopo si trova con la nuova proprietà o ancora peggio un giovane manager della nuova proprietà che gli dice cosa fare e cosa non fare. E si tratta di una condizione per nulla piacevole. 

Come ovviare alle crisi interne affrontando ogni cosa a suo tempo e pensando in grande 

La soluzione c’è: cominciando dall’affrontare in tempo utile il concetto di continuità nell'ambito della struttura. Partire per tempo permette di non rendere così pesante la giornata in azienda all’uomo 55 anni che probabilmente ha accumulato un elevato grado di frustrazione portandosi tutto sulle spalle senza che ciò peraltro sia necessario.  

Ma per far questo, ricollegandosi all’inizio del ragionamento, quando ho parlato di piccole imprese non più troppo attuali, la condizione necessaria è che l'azienda possegga per prima cosa una dimensione non più tanto piccola. Così si spiega abbastanza facilmente come il concetto di “piccolo e bello” appartenga al passato e vada archiviato. 

L’imprenditore, oggi, deve fare un po' di tutto, ma soprattutto deve essere un po’ specialista di tutto perché alla fine il decisore resta lui. 

Come pensare, però, di ingrandirsi? 

Magari tramite acquisizione in un momento propizio come l’attuale in cui le imprese cercano di riprendere quote di mercato. Ma per farlo servono aziende con una certa visione e non ve ne sono un granché. In questa condizione nuova, l’imprenditore “giovane” potrebbe gestire magari la Presidenza, cercando così nel tempo di non diventare l’ottantenne che non riesce a capire a chi lasciare il testimone: è un passaggio non semplice, ma fondamentale, che va costruito nella quotidianità e con metodo, scegliendo, nel caso, i partner giusti per essere seguiti e guidati nel processo.  

Concludo con una suggestione: è meglio essere felici co-imprenditori di una impresa grande e sana o frustrati imprenditori solitari di un’impresa più piccola ma totalmente propria? 

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